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Il cifrario di Thomas Beale viene considerato come uno dei grandi enigmi crittografici ancora irrisolti.

Si compone di una serie di tre messaggi lasciati nel 1822 da Thomas J. Beale ad un amico, con l’impegno di leggerli solo se non fosse tornato, che condurrebbero ad un favoloso tesoro sepolto nella Contea di Bedford, in Virginia (Stati Uniti d’America). Il primo messaggio indicherebbe il luogo del tesoro, il secondo la descrizione ed il terzo i nomi dei compagni di Beale.

I messaggi sono composti da una sequenza di numeri e si è compreso che la chiave di lettura è posta in tre libri. I numeri in questione indicano pagine e posizione delle lettere da trovare, una volta unite tutte le singole lettere si ha il messaggio completo. Finora è stato interpretato solo il secondo, a partire dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti. Gli altri due sono tuttora irrisolti.

Nel 1817 Thomas Beale ed il suo gruppo di 30 uomini seguivano una ricca mandria di bisonti a circa 400 chilometri a nord di Santa Fe. Si accamparono per la notte in una zona relativamente protetta, forse un fossato, quando la luce del fuoco fece brillare qualcosa nelle rocce circostanti: oro in abbondanza. Per oltre un anno e mezzo Beale e gli altri scavarono oro e argento in gran quantità.

Nel novembre 1819, fecero ritorno in Virginia e seppellirono mezza tonnellata d’oro e quasi due d’argento in una fossa poco profonda. Due anni dopo Beale vi aggiunse un’altra tonnellata d’oro, mezza tonnellata d’argento e gioielli. Poi ripartì e non tornò mai più.

Lasciò però una cassetta ad un oste verso il quale riponeva fiducia per la sua onestà: Robert Morris. Le istruzioni allegate vincolavano l’oste a non aprire la cassetta consentendogli di farlo solo se per dieci anni Beale non avesse fatto ritorno. Promise anche di mandargli via posta nel frattempo la chiave per risolvere il cifrario ma questa non arrivò mai, facendo ipotizzare che forse Beale morì prima dell’invio. Quando Morris molti anni dopo aprì la cassetta, trovò dei fogli coperti di numeri e due lettere, indirizzate a lui. Vi si raccontava la storia della scoperta dell’oro e lo esortava a dividere il tesoro in 31 parti uguali: una per se stesso e le altre per i suoi compagni o il parente più stretto ancora in vita. I fogli con i numeri spiegavano i nomi dei compagni e dove fosse nascosto e composto il tesoro ed erano stati cifrati dato che si presupponeva che Beale stesso avrebbe recuperato il tesoro o avrebbe fatto in modo da fargli pervenire la chiave.

Dopo aver tentato senza successo di decifrare il tutto Morris decine di anni dopo cedette tutto a un amico il quale riuscì a decrittare il secondo messaggio: la chiave del documento numero due era nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti. Beale aveva numerato ogni parola da 1 a 1322 e aveva usato quel numero come equivalente di cifra per la prima lettera della parola. Costui alla fine rese le lettere e i testi cifrati pubblici, apparentemente via Jas (James?) B Ward, in un libello del 1885 intitolato The Thomas Beale Papers.

Ward quindi non sarebbe l’amico che decifrò il secondo messaggio, la figura stessa di quest’ultimo è oscura e non è rintracciabile nei registri locali, tranne per il fatto che qualcuno con quel nome era il proprietario della casa nella quale Sarah Morris, identificata come la moglie di Robert Morris (l’oste), morì all’età di 77 anni,[1] quindi può darsi che egli dopo tutto fosse l’amico responsabile della decifrazione. Non ci sono spiegazioni sulla circostanza che portò alla soluzione del secondo testo, facendo pensare che forse il solutore disponesse di informazioni aggiuntive ora andate perse.

Per risolvere gli altri due crittogrammi del cifrario di Thomas Beale si è provato in tutte le maniere: testi giuridici, la Bibbia, libri in lingua straniera, Shakespeare ma tutto questo non portò a nulla. Nel 1964 il dottor Carl Hammer di Washington programmò elaborati testi statistici per visualizzare le caratteristiche e le singolarità del crittogramma. Analizzò la distribuzione dei numeri, le somme e schemi matematici. Tutto ciò confermò solo che il documento numero uno è stato cifrato con lo stesso sistema del secondo. Ma Hammer non ha risolto il crittogramma.

Stando al preambolo, se qualcuno un giorno riuscirà a risolverli diventerà molto ricco, sempre che il tesoro sia ancora al suo posto.

Quest’amico, nel 1885, pubblicò un opuscolo di 23 pagine intitolato The Thomas Beale Papers (Le carte di Thomas Beale), che è l’unica fonte di tutta la vicenda come la conosciamo oggi. L’anonimo scoprì che il primo e il terzo foglio erano del tutto indecifrabili ma riuscì a decifrare il secondo foglio cifrato, quello contenente la descrizione del tesoro. Ci riuscì supponendo che ogni numero sostituisse una lettera; ma visto che nel testo cifrato c’erano numeri superiori al 26 (numero di lettere dell’alfabeto), l’anonimo suppose che il messaggio fosse stato cifrato tramite un libro usato come chiave. La cifratura con questo sistema funziona così: si decide la porzione di testo che deve fungere da chiave e, a ogni parola, si associa un numero in crescendo. Per esempio:

(1)Era (2)una (3)notte (4)buia (5)e (6)tempestosa

In questo modo l’iniziale di ogni parola corrisponde al numero assegnatogli: l’1 sta per E, il 2 per U, il 3 per N, e così via. Se quindi, per assurdo, volessimo comporre la parola tune, cifreremmo il messaggio così: 6-2-3-1 (naturalmente per testi lunghi bisogna usare una chiave lunga, anche pagine intere di un libro). Ovviamente, per decifrare il messaggio è indispensabile che il destinatario disponga del testo chiave. In questo modo il nostro autore anonimo riuscì a decifrare il secondo foglietto, scoprendo che il testo chiave era la Dichiarazione di Indipendenza: «Con quest’idea in mente furono messi alla prova tutti i libri che riuscii a trovare, numerando le lettere e confrontando i numeri con quelli del manoscritto; per qualche tempo ogni sforzo fu vano, finché la Dichiarazione di Indipendenza permise di decifrare uno dei fogli, risuscitando tutte le mie speranze».

Ecco il testo decifrato: I have deposited in the county of Bedford, about four miles from Buford’s, in an excavation or vault, six feet below the surface of the ground, the following articles, belonging jointly to the parties whose names are given in number “3,” herewith: The first deposit consisted of one thousand and fourteen pounds of gold, and three thousand eight hundred and twelve pounds of silver, deposited November, 1819. The second was made December, 1821, and consisted of nineteen hundred and seven pounds of gold, and twelve hundred and eighty-eight pounds of silver; also jewels, obtained in St. Louis in exchange for silver to save transportation, and valued at $13,000. The above is securely packed in iron pots, with iron covers. The vault is roughly lined with stone, and the vessels rest on solid stone, and are covered with others. Paper number “1” describes the exact locality of the vault, so that no difficulty will be had in finding it. (Ho depositato nella contea di Bedford, a circa quattro miglia da Buford’s, in una fossa, o cripta, sei piedi sotto la superficie del suolo, i seguenti articoli, appartenenti nel loro insieme alle parti i cui nomi sono forniti nell’allegato «3»: Il primo deposito è consistito in mille e quattordici libbre d’oro, e in tremilaottocentododici libbre d’argento, depositate nel novembre 1819. Il secondo è stato effettuato nel dicembre 1821, ed è consistito in millenovecentosette libbre d’oro, e milleduecentottantotto libbre d’argento; nonché in gioielli acquistati a St. Louis in cambio dell’argento per economia di trasporto, valutati 13.000 dollari. Quanto sopra è conservato in modo sicuro in recipienti di ferro, con coperchi di ferro. La cripta è rozzamente rivestita di pietre, mentre i recipienti poggiano su solide pietre, e sono coperti da altre. Il foglio numero «1» descrive l’ubicazione esatta della cripta, cosicché trovarla non comporterà nessuna difficoltà.) Purtroppo per il nostro autore anonimo, però, la Dichiarazione si dimostrò inutile per la risoluzione degli altri due foglietti cifrati. L’uomo, esasperato e ormai ossessionato dal codice segreto, nel 1885 decise di darci un taglio e di pubblicare il tutto nella speranza di offrire la possibilità ad altri curiosi o esperti di risolvere l’enigma.

Nel corso degli anni furono moltissimi coloro che provarono a decifrare i due messaggi rimasti di Thomas Beale,  in particolare – per ovvie ragioni – il primo. Nessuno ci riuscì: non ce la fecero nemmeno gli esperti come Herbert O. Yardley, fondatore dell’U.S. Cipher Bureau (Ufficio Cifre degli Stati Uniti) e nemmeno William Friedman, uno dei migliori crittoanalisti americani. Dovettero desistere anche i crittoanalisti informatici, che non riuscirono a decifrare i messaggi nemmeno con l’uso dei computer appositamente concepiti per questo. Sono stati presi a chiave tutti i testi più famosi (la Bibbia, la Costituzione americana, la Magna Carta, e chissà quanti altri…) ma senza il minimo successo. Nonostante anni di successi nella decifratura anche dei codici più inaccessibili, nessuno è mai riuscito a venire a capo del codice Beale, e forse la verità è semplicissima, o quantomeno logica: Beale può aver impiegato, come chiave, un testo appositamente redatto di suo pugno, scritto in una sola copia (quella che presumibilmente era stata affidata al corriere perché la consegnasse a Morriss); in questo modo i suoi foglietti pieni di numeri sarebbero quasi di sicuro il codice più inviolabile mai concepito.

Alcuni scettici ritengono che il cifrario di Thomas Beale sia una bufala. Una prova sarebbe l’uso della parola stampede nella lettera indirizzata a Morriss, scritta nel 1822: secondo alcuni, questa parola non divenne di uso comune che a partire dal 1844. Però non è escluso che fosse già in uso all’epoca in cui Beale scriveva, e che solo dopo divenne comune. Anche Edgar Allan Poe trova posto nella vicenda: sembra infatti che si sia dichiarato il vero autore dell’opuscolo, il problema è che Poe morì nel 1849 mentre l’opuscolo venne pubblicato quasi quarant’anni dopo. Il crittografo Louis Kruh ritiene che l’autore dell’opuscolo e quello delle lettere siano la stessa persona, e che quindi tutto sia una truffa concepita intorno al 1885. Kruh svolse un’analisi dei testi e, in base al calcolo delle frequenze e degli stili, giunse alla conclusione che il famoso anonimo sia l’autore di tutta la vicenda e che quindi i codici siano stati scritti a casaccio. In realtà, però, non sembra così. Utilizzando la Dichiarazione di Indipendenza come primo testo-chiave, si generano stringhe di testo non del tutto insensate (Singh riporta un esempio: abfdefghiijklmmnohpp). Secondo James Gillogly, presidente dell’American Cryptogram Association, una tale stringa non è affatto casuale e “le probabilità che una sequenza simile compaia per caso sono meno di una su cento milioni di milioni; ciò suggerisce l’esistenza di un principio crittografico soggiacente alle serie numeriche del primo foglio. Un’ipotesi è che la Dichiarazione di Indipendenza sia davvero la chiave, ma che il testo risultante richieda una seconda decifrazione” (Simon Singh, Codici & Segreti).

Lo storico Peter Viemeister, autore del libro The Thomas Beale Treasure–History of a Mystery, si è anche prodigato nelle ricerche storiche, cercando di capire se tale Thomas Beale sia realmente esistito. Nelle ricerche condotte da Viemeister si è scoperto che l’anagrafe del 1790, insieme ad altri documenti, riporta diversi Thomas Beale nati in Virginia. Anche il registro dell’ufficio postale di St. Louis, da cui Beale avrebbe spedito una lettera, riporta un certo “Thomas Beale”.

La_cifratura_di_Beale Thomas Beale

Fonti: Peter Viemeister “The Beale Treasure–History of a Mystery” Thomas Beale

http://www.farwest.it/

https://it.wikipedia.org/wiki/Cifrario_Beale