Agli inizi del XX secolo vennero intraprese campagne archeologiche sull’isola di Creta, ma gli scavi dell’epoca erano meno rigorosi di quelli odierni, in quanto i mezzi tecnici e le infrastrutture, di cui si sevivano gli archeologi di allora, erano insufficienti a garantire loro di svolgere un lavoro preciso e privo di disordine.
Il 2 giugno 1900 l’archeologo Luigi Pernier iniziò a scavare a Festo, vicino Haghia Triada, sulla costa sud di Creta. Alla fine della seconda campagna di scavo erano già venute alla luce le parti più importanti del palazzo e, a partire dal 1909, poteva considerarsi chiuso il primo ciclo di lavori. In seguito, fra il 1909 e il 1932, vennero ripresi gli scavi, ma vennero effettuati soltanto piccoli sondaggi di controllo in vista della pubblicazione finale del materiale archeologico. Uno scavo condotto in modo così veloce prevede certamente di aver trascurato passaggi importanti, come ad esempio l’osservazione e il rispetto dellasituazionestratigrafica.
Inoltre, Doro Levi racconta che Pernier arrivava sullo scavo sempre molto tardi e vestito in modo elegante (un abbigliamento non propriamente da scavo), per esaminare il materiale archeologico rinvenuto durante la mattinata, che i capomastri gli facevano trovare da parte. All’interno del palazzo di Festo sono stati riportati alla luce vasi micenei bellissimi, idoletti di terracotta dello stesso tipo di quelli rinvenuti a Troia, figurine di animali, splendide tavole di libagione, oggetti preziosi di bronzo ecc…Il 3 luglio del 1908, durante l’esame di materiali provenienti dal vano numero otto nell’edificio 101 di un gruppo di costruzioni nella zona nord-est del palazzo, Pernier si trovò davanti quello che è chiamato il disco di Festo: un dischetto di argilla estremamente pulita e depurata, non perfettamente tondo, delle dimensioni variabili di 158-165 millimetri di diametro e 16-21 millimetri di spessore, oggi custodito nelmuseoarcheologico di Iraklion a Creta.
Il Disco di Festo e l’incisione delle facce
Le due facce del disco sono iscritte e le incisioni sono state praticate da quarantacinque punzoni, che hanno impresso quarantacinque segni diversi. L’autore del documento ha impresso il punzone direttamente nell’argilla ancora fresca e, in questo modo, ha dato origine alla prima attestazione nella storia di caratteri mobili per redigere un testo. Pernier ha ipotizzato che le matrici di questi segni fossero in legno duro o in avorio, ma Arthur Evans ritiene che fossero in metallo o in pietra tenera come la steatite.
I simboli su entrambe le facce sono disposti a forma di spirale e sono stati redatti dalla periferia verso il centro e quindi il documento va letto da destra verso sinistra. La faccia a presenta trentuno gruppi di segni separati fra loro da un piccolo tratto verticale inciso, per un totale di centroventitrè simboli. La faccia b contiene trenta gruppi di segni per un totale di centodiciotto simboli. La scrittura è stata eseguita con grande cura per i dettagli, in modo da chiudere la spirale esattamente al centro e occupare tutto lo spazio disponibile. All’interno della sequenza sono ancora evidenti correzioni che lo scriba aveva praticato, cancellando alcuni simboli e imprimendone sopra altri.
Provenienza del Disco di Festo
Fin dal momento della sua scoperta il disco ha suscitato molto interesse e curiosità, soprattutto per il tipo di simboli impressi che presenta. Pernier ipotizzò, all’epoca, che si trattasse di segni attribuibili ad un tipo di geroglifico utilizzato nella zona di Festo e che quindi il disco fosse stato prodotto e scritto a Creta. Ma Evans si oppose veementemente a tale affermazione, facendo notare che le iscrizione geroglifiche di Festo erano pressochè simili a quelle rinvenute a Cnosso e quindi non era possibile che a Festo si fosse originato un tipo di scrittura geroglifica diversa rispetto al resto dell’isola.
Lo stesso Evans riteneva quindi, come scrive nei suoi “Scripta Minoa I”, che il disco fosse di produzione straniera e insieme al suo assistente Mackenzie, fece notare che il tipo di argilla di cui è composto il disco non è di origine cretese. Ma l’elemento tramite il quale Evans avvalorava la sua tesi era l’origine dei simboli impressi su di esso che, secondo un’attenta analisi, non avevano niente di minoico. Secondo Evans il simbolo che rappresenta la testa di un guerriero con il ciuffo evoca l’immagine dei così detti “popoli del mare”, in quanto richiama raffigurazioni presenti sulle pareti del tempio di Ramsete III a Medinet Habouvicino Tebe, in Egitto e lo stesso vale per l’immagine dello scudo, che non ha niente a che vedere con quelli riscontrati sull’isola.
La rapppresentazione della donna con i seni afflosciati è molto divesa da quella di figure femminili attestate nel mondo minoico. Il simbolo della pagoda richiama costruzioni della Licia e non assomiglia affatto a raffigurazioni di case cretesi. Dunque per Evans il disco è un oggetto di importazione e il luogo di produzione di un manufatto del genere poteva essere la zona sud-ovest dell’Anatolia e in particolare laLicia.
Datazione del Disco di Festo
Evans, basandosi sulla somiglianza di alcuni cocci rinvenuti qui con altri rinvenuti nel tempio di Cnosso, data il disco al periodo medio minoico III (all’incirca al 1600 a.C.).
Come abbiamo già detto il disco è stato rinvenuto nel vano numero otto nell’edificio 101, circostante il palazzo di Festo, ma ignoriamo l’esatta stratigrafia dell’intervento di scavo e quindi è molto difficile attribuire ad esso una datazione precisa e anche stabilire che tipo di oggetto sia. Sappiamo che la nicchia dalla quale proviene il disco era riempita da materiale di vario genere: da oggetti preistorici e protostorici a reperti di epoca più recente e quindi il disco potrebbe essere datato in qualunque periodo compreso fra il medio minoico III e il periodo ellenistico-romano.
Interpretazione dei simboli
La scrittura impressa sul disco di Festo è sicuramente sillabica: i quarantacinque segni che la compongono sono troppi per un alfabeto e troppo pochi per una scrittura ideografica. Tuttavia la sua interpretazione resta ancora un mistero, dato che è del tutto dissimile da qualunque altra scrittura conosciuta. Il linguista tedesco Herbert E. Brekle (1) teorizza che il disco di Festo sia un antico documento di stampa a caratteri mobili. Nel suo lavoro sulla decifrazione, BenjaminSchwartz (2) associa ugualmente al disco “il primo tipo mobile”.
L’interpretazione della scrittura impressa sul disco di Festo è una delle maggiori attrattive per gli amanti degli enigmi. Tutti i decifratori che hanno proposto la loro interpretazione sono convinti di aver trovato la chiave di lettura giusta. Ad esempio la decifrazione di Marco Corsini, pubblicata a sue spese, riporta questa traduzione:
Lato a
Alla grande signora dei Keftiti, alla grande Atena dominatrice degli animali, sbaragliatrice egli Irafioti, Ronte, figlio di Danao asperse, Ronte nel tempio dei Keftiti, Ronte, figlio di Danao, asperse l’albero.
Menafite, l’esperto sommo sacerdote, eliminò gli animali infetti e il giusto Radamante rese grazie alla dea Era.
Lato b
Era Enazia generò Mino dall’amabile sguardo, Mino dell’Urania Era sacra Enazia.
Ad Era madre Mino offerse la liquida vivanda e la sacerdotessa placò facilmente il terremoto.
Gradendo la signora dell’acqua Turana l’aspetto dei ramoscelli, Manasse in estate ha inviato le sacre emioniti.
Altre interpretazioni
Esistono comunque interpretazioni ancora più bizzarre. Nel 1978, mentre LouisGodart scavava aNerokourou, nei pressi della baia di Souda, nella zona ovest di Creta, arrivò un giovane molto agitato, il quale affermava di aver fatto un ritiro spirituale sulle montagne Bianche in compagnia di capre, pecore e dell’edizione fotografica del disco di Festo (3). Egli dichiarava di aver trovato la verità e di aver decifrato la scrittura del disco, ma il suo contenuto lo aveva turbato molto.
Infatti riteneva che il disco annunciasse l’imminente fine del modo. Godart cercò di rassicurarlo, dicedogli che la fine del mondo si era effettivamente verificata, in quanto la civiltà minoica era totalmente scomparsa e quindi non c’erano pericoli da temere in un prossimo futuro. Il sito nel quale è stato rinvenuto il disco, infatti, apparentemente collassò a causa di un terremoto, possibilmente collegato con l’eruzione esplosiva del vulcano di Santorini, che colpì gran parte della regione mediterranea verso la metà del II millennio a.C.
Il giovane se ne andò verso La Canea per riprendersi dal tempo di isolamento e non pubblicò mai la sua scoperta.
Sicuramente è evidente che, finchè non saranno scoperti altri testi del genere, nessuno è in grado di proporre una decifrazione quanto meno plausibile del disco.
IL DISCO DI FESTO: LA CHIAVE DELLE MALATTIE GENETICHE ?
E’ stato decodificato di recente il disco di Festo,un disco di pietra di origine Atlantidea risalente al 1700 A.C in cui vi sono scolpiti in entrambi i lati dei simboli che fino ad oggi non si sapeva cosa significassero e si è scoperto che indicano la causa delle malattie genetiche per prevenirle e curarle.
La decodifica è stata possibile con un antico testo etiope,Il video è in due parti e ho pensato di condividerlo perchè è veramente interessante.