In un mito ormai perso nella notte dei tempi si narra che intorno all’anno 1100 d.C., a Milano, esisteva un vasto lago dove dimorava una creatura spaventosa, molto simile a un drago. Il nome dello specchio d’acqua era lago Gerundo, detto anche Geroso, e l’essere che lo abitava Tarantasio.
Il lago era uno specchio d’acqua salmastra e occupava una superficie piuttosto estesa in quella che una volta era una zona paludosa e inabitata. Situato nell’attuale zona di Lodi, nell’area compresa tra Brembate e fin quasi Cremona, il lago era abitato da Tarantasio, il “mostro di Lock Ness della Pianura Padana”. I residui di questo leggendario lago sarebbero stati prosciugati intorno all’anno Mille, tramite una bonifica fatta da monaci di quella che era diventata una zona acquitrinosa e pericolosa per la salute. La leggenda del drago serpentiforme si è dissipata nel tempo, è stata dimenticata. Eppure la creatura ha un’influenza enorme sulle radici della città di Milano. Ebbene sì, anche Milano ha una storia mitologica dietro la sua nascita.
Come in ogni leggenda che si rispetti il drago viene definito come mostro cattivo, che si nutriva principalmente di bambini ed era particolarmente difficile da uccidere. Nessuno ci riuscì mai, né cavalieri né prodi guerrieri…solo un giovane eroe riuscì ad sconfiggerlo e a bonificare l’intera zona del lago Gerundo. Quel giovane eroe non era altro che il capostipite della famiglia Visconti, Umberto, che, avendo avuto la meglio sulla creatura, decise di farne il simbolo della dinastia viscontea a Milano. Nell’area coperta in passato dal lago, in alcune piccole chiese, sono ancora oggi visibili i ritrovamenti di reperti ossei che i più sognanti attribuiscono a Tarantasio, il dragone di Milano.
Non tutti però attribuiscono il gesto eroico ad Umberto: alcune fonti popolari lo associano a San Cristoforo o a Federico Barbarossa, che avrebbero sconfitto il drago e poi bonificato il lago. Altre leggende invece indicano San Giorgio come il vero uccisiore del drago, che a seguito di tre giorni di processioni, preghiere e suppliche al Signore ottenne la grazia. Il lago si sarebbe quindi prosciugato e sarebbe stata rinvenuta la carcassa del drago morto, incastonato in una Chiesa.
Ciò che è certo è che il lago è esistito veramente e che è stato sicuramente abitato poichè documenti storici dimostrano che si trattava di una zona particolarmente idonea alla pesca. Il fatto più curioso è che attorno alla figura di Tarantasio si sia sviluppata la nascita della città di Milano, così come la sua evoluzione: la temuta creatura è sopravvissuta nei secoli ed è ancora “tra di noi”. Non ci credete?
Provate a passeggiare per Milano e vi renderete conto che il biscione/dragone è praticamente ovunque, sempre con le stesse sembianze. Osservate bene lo stemma della città di Milano (vedi foto). Ebbene sì, è un drago che mangia un bambino e altro non può essere che la raffigurazione di Tarantasio.
Il drago è stato anche illustrato da Ulisse Androvaldi, naturalista del 1500. Nella sua classificazione dei draghi Tarantasio sarebbe una viverna, cioè un serpentiforme con due zampe e due ali. Tuttavia Tarantasio è stato rappresentato anche come un serpente, mostro alato, drago, leone di mare o un enorme cane. Lo stesso stemma della squadra di calcio milanese Inter è un biscione, ripreso da questa leggenda tutta milanese, così come per il logo delle società Alfa Romeo e Fininvest. Perfino sul celebre Duomo di Milano è possibile scorgere un drago, molto simile a quello descritto da Androvaldi.
Il drago è presente praticamente ovunque a Milano, basta fare un po’ di attenzione e lo si potrà trovare sulle insegne comunali, sulle fontanelle pubbliche, nella pavimentazione e perfino nel nome di una città vicino a Milano. Ma non è finita qui.
Si dice che gli acquitrini del lago Gerundo rendessero l’aria circostante malsana e ciò provocasse numerose vittime per malaria. Gli abitanti avrebbero presto incolpato il pestifero Tarantasio, che diventò capro espiatorio di tutte le disgrazie. L’alito pestilenziale del drago, però, avrebbe una spiegazione scientifica: sarebbe stato dato dalla presenza di gas naturali dovuti al terreno formato da depositi alluvionali stratificati, costituiti da sedimento paludoso molle con residui fossili. Ed è proprio qui che nel 1952 l’AGIP trova dei grossissimi giacimenti di gas metano e trova ispirazione per il proprio logo, ovvero il famoso cane a sei zampe, un gentile omaggio a Tarantasio.
La nostra città è meno grigia e insapore di quel che si va dicendo. Milano è una città che, come i suoi abitanti, non ama apparire. Preferisce farsi scoprire. Milano ha radici così lontane che spesso le dimentichiamo, tra il caos dei clacson e della frenetica routine quotidiana. Eppure una leggenda come quella del drago Tarantasio resiste ancora nei simboli, negli stemmi e nei luoghi più rappresentativi della città. E’ lì, come un monito, che vuole ricordare chi siamo, e da dove veniamo.
IL PUNTO DI VISTA DEL CICAP
Nel 1995 il Corriere della Sera riportò questa notizia: “Cremona – Un’enorme vertebra di un animale preistorico è stata ritrovata nei fondali del fiume Adda nei pressi di Pizzighettone (Cremona). Il reperto ha un’altezza di 75 centimetri, una base di 39 e la sede circolare ha un diametro di 16 cm. Ritrovamenti di questo tipo non sono nuovi in una zona che millenni fa ospitava le paludi del lago Gerundo. A scoprire il reperto è stato Walter Valcaregni, un muratore di 47 anni che in passato ha già donato fossili al museo civico di Pizzighettone. Un paleontologo incaricato dal museo dovrà stabilire a quale animale la vertebra appartenesse e a quale epoca risalga”.
In effetti ritrovamenti di ossa appartenenti a mammuth e a rinoceronti dell’era glaciale non sono infrequenti in quelle zone. Simili reperti vengono scavati a monte dalle correnti e poi trascinati fino a valle, spiegando così i misteriosi ritrovamenti tutt’ora esposti in alcune chiese.
Per quanto ne sappiamo però, tutte le costole che rientrano all’interno di una documentazione storica più o meno attendibile, sono posteriori alla bonifica delle zone ed al prosciugamento del Gerundo: questi reperti avrebbero così contribuito ad alimentare la leggenda di Tarantasio e dei suoi simili, ma non è altrettanto certo che siano anche state la causa della loro origine, per risalire alla quale si rende forse necessario affrontare una particolare caratteristica dei draghi milanesi: il loro alito pestilenziale…
Nel Medioevo non era infrequente attribuire morti improvvise o inspiegabili alla minacciosa presenza di misteriosi rettili e il caso del basilisco ne è esempio lampante. Molto spesso questa mitologica creatura, che secondo la tradizione nasce da un uovo di gallo covato da un rospo, prendeva dimora in pozzi le cui acque avrebbero avvelenato tutti coloro i quali vi avessero attinto.
Secondo la leggenda, nel IV secolo il santo San Siro liberò la città di Genova da un basilisco che si era insidiato in un pozzo, mentre a Vienna sarebbe esistita una lapide le cui iscrizioni indicavano che nell’anno 1202 un pozzo infestato da un basilisco fu sotterrato dopo che numerose persone erano morte per essersi lì abbeverate. Nel suo volume Dall’unicorno al mostro di Loch Ness il criptozoologo “ante litteram” Willy Ley spiega che in passato la presenza di falde acquifere sature di idrogeno solforato a causa del loro odore di uova marce hanno potuto contribuire alla leggenda delle esalazioni pestifere del basilisco.
Se ora consideriamo che in passato gli acquitrini del Gerundo erano un ambiente ideale per favorire il diffondersi della malaria, gli abitanti del tempo avrebbero potuto attribuirne la causa a grandi serpenti pestiferi, cioè a basilichi a misura di lago.
Considerando però che i meccanismi che stanno dietro alla nascita di ogni leggenda sono sempre più complessi e vari di quanto una spiegazione univoca e semplicistica possa talvolta fare pensare, è giunto il momento di affrontare come precedentemente accennato, una possibile spiegazione zoologica che possa avere contribuito, se pure in piccolissima parte attraverso sporadici e fugaci avvistamenti, alle tradizioni popolari sui mostri del lago.
Stando al criptozoologo Maurizio Mosca che ha affrontato il problema sulle pagine del suo libro Mostri lacustri edito da Mursia, i possibili candidati possono essere due:
- – storioni presenti nel fiume Po, che in passato raggiungevano dimensioni molto più ragguardevoli di quelle alle quali siamo abituati ai nostri giorni e che, benché innocui per l’uomo, possiedono caratteristiche anatomiche talmente peculiari e diverse da quelle degli altri pesci europei da conferire loro un aspetto minaccioso e vagamente “rettiliforme”;
- – coccodrilli importati che secondo alcune leggende si erano adattati a vivere nel fiume Serio, come testimonierebbe l’affascinante reperto custodito nella chiesa di Ponte Nossa: un coccodrillo impagliato lungo tre metri, di cui parla un documento conservato presso la Curia di Bergamo, risalente al 1594. Ma, mentre sappiamo che questi rettili vivevano in alcuni fiumi della Sicilia sino al 1600 dopo che furono importati dagli arabi, individui di una popolazione presumibilmente esigua difficilmente avrebbero potuto sopravvivere a lungo nel Nord Italia.
FONTI:
Davide Garavaglia
- Le terre del Gerundo (1994), Centro Studi della Geradadda.
- Aldrovandi U. (1640), Historiae serpentum et draconum.
- Cordier U. (1986), Guida ai draghi e ai mostri d’Italia.
- Izzi M. (1989), Il dizionario illustrato dei mostri.
- Mosca M. (2000), Mostri dei laghi.